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La tutela sempre più rafforzata dei marchi notori: il caso Gucci
I marchi notori si contraddistinguono dai marchi “ordinari” per il fatto di essere caratterizzati dal cosiddetto “stato di rinomanza”; ciò consente ai loro titolari di impedire la registrazione e l’uso di marchi relativi a segni uguali o simili, con i quali si intendano identificare prodotti o servizi anche non affini a quelli per cui i suddetti marchi notori siano già stati registrati.
 
La tipologia di marchio notorio è stata introdotta, per la prima volta, con la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, il cui testo è stato approvato il 20 marzo del 1883 ed è, successivamente, stato oggetto di diversi interventi di modifica. In particolare, nel contesto dei negoziati tenutisi a Stoccolma nel 1967, sono stati apportati alcuni emendamenti che hanno determinato l’introduzione dell’articolo 6-bis recante il titolo “Marchi notoriamente conosciuti”, a cui la suddetta Convenzione riconosceva una tutela specifica in presenza di un marchio successivo confondibile.
 
La questione relativa alla tutela rafforzata dei marchi rinomati è stata, recentemente, affrontata dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione italiana nella sentenza n. 27217, depositata lo scorso 7 ottobre 2021. Nel caso di specie, la controversia ha avuto origine nel 2015, quando la celebre maison fiorentina Gucci aveva agito in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità di due marchi appartenenti ad una società cinese, basando la propria pretesa sul difetto di novità dei marchi di controparte, in quanto suscettibili di integrare la fattispecie di contraffazione.
Il Tribunale di Firenze aveva, in prima istanza, rigettato le istanze del ricorrente rilevando l’insussistenza del rischio di confusione tra i marchi in questione. La Corte d’Appello di Firenze, adita successivamente dai legali dello stesso brand italiano, aveva – in sostanza – ribadito le conclusioni del giudice di primo grado. Uno dei principali argomenti, comune ad entrambe le decisioni, era legato all’insussistenza, tra i marchi oggetto della controversia, di una somiglianza tale da ingenerare il rischio di confusione o da indurre in errore il consumatore "medio" dei prodotti in questione. A supporto di tale posizione, il giudice di secondo grado sottolineava che il riempimento in neretto della gobba della "G" e la sottigliezza del carattere utilizzato in uno dei due marchi contestati, oltre che – dall’altro lato – l’elevata rinomanza del marchio “GUCCI”, costituissero caratteristiche idonee e sufficienti ad escludere, nel consumatore, qualsivoglia rischio sia di confusione sia di associazione fra imprese.
 
La vicenda non si è, tuttavia, conclusa con la sentenza della Corte d’Appello, ma è giunta dinanzi alla Suprema Corte. La Cassazione, infatti, ha  evidenziato come “la Corte d'Appello, nell'analizzare, ai fini della valutazione di contraffazione, esclusivamente il criterio del rischio di confusione tra i segni in conflitto, abbia erroneamente omesso considerare che la tutela rafforzata che la legge italiana - in attuazione della direttiva CE 89/104 (vedi art. 5 n. 2) - riconosce ai marchi di rinomanza comporta (oltre all'estensione di detta tutela a settori merceologici non affini) che, relativamente a tale tipologia di marchi, si può del tutto prescindere dall'accertamento di un eventuale rischio di confusione tra segni”.
A tal proposito, sarebbero stati, infatti, trascurati gli sviluppi più recenti della giurisprudenza europea secondo cui, per aversi violazione, non è necessaria l’esistenza di un rischio di confusione, essendo sufficiente che il grado di somiglianza stabilisca nel pubblico interessato “un nesso” tra il marchio contestato ed il marchio notorio.
Inoltre, per poter accordare la cosiddetta tutela “ultra-merceologica” ad un marchio è sufficiente, ai sensi della disciplina italiana (ossia ai sensi del disposto del d.lgs. n. 30 del 2005, comunemente identificato come “Codice della Proprietà Industriale), che il contraffattore abbia potuto trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore, concetto sintetizzato dalla Corte di Cassazione con il termine “parassitismo”. In questo modo, il titolare del segno posteriore può beneficiare del potere attrattivo dell’anteriore marchio noto e, mediante la commercializzazione di prodotti o servizi recanti un segno identico o simile a quest’ultimo, ingenerare una modifica nelle abitudini della clientela di riferimento, spingendola a convergere verso la propria impresa.
 
In definitiva, spetterà, dunque, al giudice del rinvio accertare "se l'utilizzo del marchio posteriore costituisca o meno, alla luce dei parametri sopra illustrati, un uso privo di giusta causa che consenta di trarre indebitamente profitto dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio Gucci ovvero arrechi pregiudizio alle caratteristiche di tale marchio".