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Le opere del design industriale e la legge sul diritto d’autore: il caso Moon Boots

Con sentenza del 25 gennaio 2021 n. 493, il Tribunale di Milano ha confermato l’applicabilità della tutela prevista dalla legge sul diritto d’autore ai celebri Moon Boots, le calzature da montagna introdotte da Tecnica Group S.p.A. nel 1969, che presero ispirazione dagli stivali utilizzati dagli astronauti durante lo sbarco sulla Luna.  

Tale pronuncia è in linea con il precedente orientamento dello stesso Tribunale di Milano che, con sentenza del 12 luglio 2016, aveva già riconosciuto la dignità di opera proteggibile a tali calzature.

La vicenda che ha portato alla presente decisione vede protagoniste, da un lato Tecnica Group S.p.A. (attrice) e, dall’altro, le società Diana S.r.l., Mofra Shoes s.r.l., N2 s.r.l. e Serendipity s.r.l. (convenute), impegnate nelle varie fasi di progettazione, realizzazione e commercializzazione delle calzature da neve oggetto di contestazione, recanti il marchio “Chiara Ferragni”, di cui Mofra Shoes s.r.l. e Serendipity s.r.l. sono licenziatarie.

Moon boot grey

Già nel 2017 le società convenute si erano viste contestare da parte dell’attrice la realizzazione di stivali da neve, in quanto ritenute copie contraffatte dei più celebri Moon Boots. All’epoca la controversia si era risolta con un accordo transattivo e le società coinvolte si erano impegnate a non ripetere le condotte contestate e, quindi, a non produrre e commercializzare snow boots che violassero i diritti di proprietà intellettuale di Tecnica Group s.r.l.

Tuttavia, a seguito della reiterazione delle condotte, la società attrice ha agito giudizialmente – prima in sede cautelare e poi di merito – invocando la tutela autorale sui propri prodotti.

Come noto, le opere del design industriale possono godere, secondo l’ordinamento italiano (ed europeo), di un doppio grado di tutela, derivante, da un lato, dalla disciplina sui disegni e modelli e, dall’altro, dalla normativa autorale. Infatti, l’elencazione delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore include espressamente le opere del design industriale, in particolare all’art. 2 n. 10, l. 633/1941.

La giurisprudenza europea ha da tempo definito il concetto di “opera” (v. sentenza Infopaq, CGUE 16 luglio 2009, C-5/08), al fine di uniformare la tutela garantita nei vari Stati europei ed evitare che un determinato prodotto goda in modo disomogeneo della protezione derivante dalle norme sul diritto d’autore a seconda dei vari Stati europei considerati. Stando alla giurisprudenza europea, infatti, due sono i requisiti essenziali per accedere alla tutela suddetta: i) l’originalità e ii) la precisa identificabilità dell’opera.

Tuttavia, va tenuto in considerazione che le opere del design industriale si differenziano in modo sostanziale rispetto alle opere così come tradizionalmente intese (si pensi, ad esempio, alle opere letterarie o artistiche) a causa del carattere utilitario di cui sono connotate e della loro riproducibilità in serie.

"Le opere del design industriale si differenziano in modo sostanziale rispetto alle opere così come tradizionalmente intese a causa del carattere utilitario di cui sono connotate e della loro

riproducibilità in serie".

Moonboot

Il legislatore italiano ha quindi ritenuto opportuno irrigidire i criteri di accesso alla tutela autorale per questo tipo di opere, prevedendo il soddisfacimento di un criterio ulteriore. Le opere del disegno industriale devono infatti presentare “valore artistico”. Sebbene la normativa europea preveda espressamente la possibilità per gli ordinamenti nazionali di determinare “l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa” (art. 17, Direttiva 98/71) tale ulteriore criterio è da tempo

oggetto di intenso dibattito in dottrina e in giurisprudenza, da un lato perché ritenuto eccessivamente vago e passibile di interpretazioni discordanti; dall’altro perché in contrasto con la definizione armonizzata di “opera” elaborata dalla giurisprudenza europea. Tali perplessità sono peraltro alimentate dalle recenti sentenze della Corte di Giustizia Cofemel (CGUE 12 settembre 2019, C-683/17) e Brompton (CGUE 11 giugno 2020, C-833/18) che hanno avuto ad oggetto proprio l’applicabilità della normativa sul diritto d’autore alle opere del design e sembrano riconoscere a queste ultime uno spazio più ampio di quanto non si facesse in passato, rendendo quantomeno necessario interrogarsi sulla legittimità di previsioni (come quella italiana) che restringano l’accesso alla tutela.

In ogni caso, al fine di assicurare un’interpretazione omogenea ed estranea ad applicazioni arbitrarie, la giurisprudenza italiana si è preoccupata di individuare alcuni indici in base ai quali valutare il “valore artistico” dei prodotti del design, tra cui, a titolo esemplificativo “il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l'esposizione in mostre o musei,  la  pubblicazione  su  riviste  specializzate,  l'attribuzione  di  premi,  l'acquisto  di  un  valore  di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista” (Cass. 7477/17).

Tali valutazioni sono state effettuate dal Tribunale di Milano, nel 2016 così come nella sentenza in oggetto, al fine di valutare l’applicabilità della legge sul diritto d’autore ai Moon Boots e tali considerazioni hanno portato a confermarne la tutelabilità. I Moon Boots, infatti, sono stati inseriti – come ricordato dai giudici milanesi – nell’ambito del Triennale Design Museum di Milano nel 2016 nonché nell’esposizione permanente del Metropolitan Museum of Modern Art (MOMA) nel 2018.

Il Tribunale ha quindi confermato anzitutto che i Moon Boots godono di tutela ai sensi della legge sul diritto d’autore e che le differenze invocate dalle convenute, quali l’apposizione del marchio rappresentante un occhio con lunghe ciglia e la presenza di glitter non siano tali da attribuire dignità di opera autonoma agli stivali recanti il marchio “Chiara Ferragni”, stante l’assoluta identità di forme.

Il collegio ha quindi confermato che i modelli di calzature prodotti e commercializzate dalle convenute “integrano plagio/contraffazione delle forme proprie dell’opera di design industriale denominata Moon Boots e costituiscono dunque violazione dei diritti di utilizzazione economica spettanti alla società attrice” e ha condannato le convenute al relativo risarcimento del danno.