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La strada della direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale è un po’ meno in salita: la Corte di Giustizia dichiara la validità dell’articolo 17
Allo scopo di adeguare la normativa europea in materia di diritto d’autore all’evoluzione delle tecnologie digitali, il Parlamento Europeo, unitamente al Consiglio, ha emanato la direttiva EU 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, le cui previsioni modificano sia alcune porzioni della direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, nonché talune delle disposizioni della ancor più risalente direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche dati.
 
In particolare, uno degli aspetti più innovativi apportati dalla direttiva in questione alla disciplina europea di riferimento concerne le condizioni stabilite per l’utilizzo di contenuti rispetto ai quali diritti di proprietà intellettuale risultano di titolarità di parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online. Gli stessi sono definiti, ai sensi dell’art. 2, come “prestatori di servizi della società dell'informazione il cui scopo principale o uno dei principali scopi è quello di memorizzare e dare accesso al pubblico a grandi quantità di opere protette dal diritto d'autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti, che il servizio organizza e promuove a scopo di lucro”.
 
I servizi in questione vengono offerti al pubblico mediante l’utilizzo di piattaforme online tra le quali rientrano, a titolo di esempio, Youtube, Pinterest o Spotify, attraverso le quali un qualsiasi utente ha la possibilità di condividere in rete – automaticamente e senza selezione preventiva da parte dei prestatori di ciascuna piattaforma di riferimento – i contenuti desiderati. Quanto sopra nonostante gli stessi contenuti siano suscettibili di includere anche opere e materiali protetti da diritti di proprietà intellettuale e non sia stata concessa alcuna autorizzazione all’utilizzo da parte dei rispettivi titolari.
 
La direttiva UE/2019/790, proprio nel tentativo di rafforzare la tutela dei titolari di tali diritti di proprietà intellettuale, ma, al contempo, di garantire un bilanciamento con gli interessi degli utenti e dei prestatori delle piattaforme online, ha stabilito, all’art. 17, la disciplina di riferimento.
 
Nello specifico, secondo il dettato del paragrafo 1, un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve ottenere un'autorizzazione dai titolari dei diritti di proprietà intellettuale, anche mediante la sottoscrizione di un accordo di licenza, al fine di consentire al pubblico l’accesso ad opere protette dal diritto d'autore o ad altri materiali protetti caricati dai propri utenti sulla piattaforma di riferimento. Inoltre, il successivo paragrafo 4 dispone che, laddove non venga rilasciata alcuna autorizzazione da parte dei titolari dei diritti coinvolti, i prestatori in questione siano da ritenere direttamente responsabili per “atti non autorizzati di comunicazione al pubblico”, qualora non riescano a dimostrare, cumulativamente, le seguenti circostanze:
“a) aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un'autorizzazione, e
b) aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti; e in ogni caso,
c) aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l'accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)”.
Tuttavia, le disposizioni introdotte con la presente direttiva hanno indotto taluni Paesi membri dell’Unione Europea a muovere contestazioni proprio con riferimento al regime di responsabilità oggettiva di cui sopra. 
 
In particolare, nel contesto del ricorso, presentato lo scorso 24 maggio 2019 dalla Repubblica polacca, veniva richiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) di procedere con l’annullamento delle lettere b) e c) nella parte dell’articolo 17, paragrafo 4, limitata ad “aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)” per violazione del diritto alla libertà di espressione e di informazione, garantito dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Secondo i ricorrenti, gli obblighi di cui alle lettere b) e c) dell’art. 17 a cui vengono assoggettati i fornitori di servizi condivisione di contenuti online rendono necessario – ai fini di evitare di incorrere in responsabilità – che i prestatori effettuino una verifica automatica e preventiva dei contenuti condivisi online dagli utenti e, di conseguenza, che introducano dei meccanismi di controllo preventivo. Pertanto, a detta dell’avvocato della ricorrente, Gonatarski “un siffatto meccanismo pregiudica l’essenza del diritto alla libertà di espressione e di informazione e non soddisfa i requisiti di proporzionalità e di necessità di limitazioni di tale diritto.” 
Dopo tre anni dall’instaurazione della controversia, la Grande Chambre (Grande Sezione) della CGUE si è pronunciata sulla causa C‑401/19 con sentenza del 26 aprile 2022.
 
Nell’esame del motivo, dedotto in giudizio dalla Repubblica di Polonia, vertente sulla limitazione dell’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione, derivante dal regime di responsabilità introdotto dall’art. 17 della direttiva 2019/790, la Corte afferma, da un lato, che tale limitazione rispetta il contenuto essenziale del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di Internet.  Dall’altro, la Corte sostiene che, nell’ambito del controllo di proporzionalità, la limitazione in questione risponde all’esigenza di tutela della proprietà intellettuale garantita dall’art. 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che essa appare necessaria allo scopo di soddisfare tale esigenza e che gli obblighi imposti ai fornitori non restringono in misura sproporzionata il diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti.
 
I giudici di Lussemburgo chiariscono, infatti, che gli obblighi di controllo preventivo a cui sono assoggettati i fornitori di servizi a norma dell’art. 17, paragrafo 4 sono accompagnati da “garanzie adeguate per assicurare il rispetto del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti, nonché il giusto equilibrio tra tale diritto, da un lato, e il diritto di proprietà intellettuale, dall’altro” come, ad esempio, la previsione di un limite, da parte del legislatore europeo, alle misure che possono essere adottate nell’attuazione di tali obblighi, escludendo, in particolare, gli strumenti che filtrano e bloccano i contenuti leciti durante il caricamento.
 
Pertanto, respingendo il ricorso promosso dalla Polonia, la Corte ha dichiarato la compatibilità dell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea con le disposizioni contenute nell’art. 17, paragrafo 4, lettera b) e lettera c) della direttiva UE 2019/790, condannando la parte soccombente in giudizio al pagamento delle relative spese processuali