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MOMENTI DI GLORIA: PARIGI 2024 E LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E INDUSTRIALE

di Beatrice Marone

Il prossimo 26 luglio si apriranno i Giochi della XXXIII Olimpiade, noti al pubblico come Parigi 2024. Saranno circa diecimila e cinquecento gli atleti che, suddivisi in duecentosei comitati olimpici nazionali, si contenderanno le medaglie e la gloria dinanzi agli occhi del mondo. Come prevedibile, le Olimpiadi costituiscono un evento rilevante sotto una molteplicità di punti di vista, non ultimo quello relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale e industriale. Infatti, sia il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sia i singoli comitati olimpici nazionali risultano particolarmente attivi nelle azioni a tutela dei diritti di privativa connessi all’evento.

 

In primis, è necessario ricordare l’esistenza di uno specifico trattato avente come scopo dichiarato la protezione del simbolo olimpico, ossia i cinque anelli intrecciati in colore blu, giallo, nero, verde e rosso, disposti in tale ordine da sinistra verso destra, oppure la medesima figura declinata in qualsiasi colore. Si tratta del trattato di Nairobi, adottato nella capitale del Kenya il 26 settembre 1981, nel contesto dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI). Sulla base di tale accordo, di cui sono parte, oggi, cinquantacinque Stati, gli Uffici Marchi di ciascuno di essi dovranno rifiutare le domande di marchio o invalidare le registrazioni di marchio per segni potenzialmente confondibili con tale simbolo, ogni qualvolta il deposito non abbia ottenuto il preventivo consenso del CIO. Peraltro, le autorità amministrative e giudiziarie competenti dovranno, altresì, attivarsi per imporre nella prassi commerciale l’effettivo divieto di uso dei suddetti segni.

 

Una circostanza esemplificativa è quella dell’Ufficio per la Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea (EUIPO), che ha inserito il simbolo olimpico fra quelli tutelati dalla previsione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera i) del Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione Europea. Tale previsione afferma che “sono esclusi dalla registrazione: […] i marchi che comprendono distintivi, emblemi o stemmi diversi da quelli previsti dall'articolo 6 ter della convenzione di Parigi e che presentano un interesse pubblico particolare, a meno che le autorità competenti ne abbiano autorizzato la registrazione”. Il Tribunale dell’Unione Europea ha specificato il contenuto di tale parte dell’articolo 7, dedicato agli impedimenti assoluti alla registrazione, nella decisione emessa il 7 luglio 2013 nel caso T-3/12: ha, infatti, affermato che la previsione ricordata si applica in ogni caso in cui il marchio sia suscettibile di fuorviare il pubblico rispetto all’esistenza di un nesso fra il titolare del marchio e l’ente a cui tali simboli si riferiscono (ossia il CIO).

 

In ogni caso, il CIO ha dimostrato in più di un’occasione di non rinunciare all’enforcement dei propri diritti. Per la presente analisi è rilevante, in particolare, l’articolo 7 della Carta Olimpica, secondo cui “il CIO è titolare di tutti i diritti nei e in relazione ai Giochi Olimpici e alle Proprietà Olimpiche descritte nella presente Regola, i cui diritti hanno il potenziale di generare entrate”. In tal senso, i poteri del CIO sono amplissimi, come emerge dal paragrafo 2, secondo cui “I Giochi Olimpici sono di esclusiva proprietà del CIO che è titolare di tutti i diritti relativi, in particolare, e senza limitazione, a i) l’organizzazione, lo sfruttamento e il marketing dei Giochi Olimpici, ii) l’autorizzazione alla cattura di immagini fisse e mobili dei Giochi Olimpici per l’uso da parte dei media, iii) la registrazione di contenuti audio-visivi dei Giochi Olimpici e iv) il broadcast, la trasmissione, la ritrasmissione, la riproduzione, la visualizzazione, la disseminazione, la messa a disposizione o qualunque altra comunicazione al pubblico, tramite qualsiasi mezzo ora conosciuto o che sia sviluppato in futuro, di opere o segnali inclusivi di contenuti audiovisivi o registrazioni dei Giochi Olimpici”. Vengono definite “Proprietà Olimpiche” non soltanto il simbolo, ma altresì la bandiera, il motto “Faster, Higher, Stronger - Together”, gli emblemi, l’inno composto da Spiro Samara, la fiamma e le torce, le designazioni (tra le quali, attualmente, sono incluse Paris 2024, Milano Cortina 2026 e LA28).

 

Con riferimento, poi, allo statuto collegato, è interessante notare che ciascun comitato olimpico nazionale è responsabile, dinanzi al CIO, dell’osservanza della struttura normativa ricordata e, dunque, “deve prendere le opportune iniziative per proibire qualsiasi utilizzo delle Proprietà Olimpiche che sarebbe contrario alle Regole o alle loro Bye-laws”. Inoltre, nel momento in cui una legge nazionale, una registrazione di marchio o un’altra forma di strumento legale garantisce tutela giuridica a un comitato olimpico nazionale per il simbolo olimpico o per qualsiasi altra Proprietà Olimpica, tale comitato sarà tenuto a sfruttare i propri diritti in conformità sia alla Carta Olimpica sia alle istruzioni ricevute dal CIO.

 

Un esempio rilevante è quello del comitato olimpico statunitense (USOC), che può contare proprio su una legge nazionale, ossia il Ted Stevens Olympic and Amateur Sports Act, dal nome del senatore dello Stato dell’Alaska che, nel 1998, ha sponsorizzato la revisione dell’Amateur Sports Act datato 1978. In tale norma, il Congresso ha attribuito all’USOC la titolarità del diritto esclusivo all’uso delle diciture “United States Olympic Committee”, “Olympic”, “Olympiad”, “Citius Aliuts Fortius”, “Pan American”, “Paralympic”, “Paralympiad”, “American Espirito Sport Fraternité”, nonché di qualsiasi combinazione degli stessi. La norma concede, inoltre, all’USOC, da un lato, di autorizzare i propri sponsor all’uso di tali diciture, nonché del simbolo olimpico e, dall’altro lato, di contestare qualsiasi uso non autorizzato. Tale struttura normativa è stata rinforzata, nel sistema di Common Law che caratterizza l’ordinamento statunitense, dalla pronuncia della Corte Suprema nel caso San Francisco Art & Athletics, Inc. v. U.S. Olympic Committee. La decisione, emessa il 25 giugno 1987, sancisce che il diritto esclusivo dell’USOC sull’utilizzo della parola “Olympic” non viola il Primo Emendamento. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, il Primo Emendamento non proibisce al Congresso di garantire il diritto all’uso esclusivo di una parola senza richiedere che l’utilizzatore autorizzato provi che un uso non autorizzato sia foriero di rischio di confusione. In conseguenza di ciò, le restrizioni alle espressioni verbali contenenti le parole sopra ricordate sono incidentali rispetto al primario scopo del Congresso di incoraggiare e premiare le attività dell’USOC, dal momento che si registra un ampio interesse pubblico nel promuovere, proprio tramite le attività dell’USOC, la partecipazione di atleti statunitensi ai Giochi Olimpici.

 

Lo status degli atleti è certamente mutato rispetto alla configurazione spazio-temporale appena descritta. Gli stessi, ormai, conducono carriere parallele tramite proficui accordi con i propri sponsor. L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello della plurimedagliata ginnasta statunitense Simone Biles, giunta a Parigi in business class tramite un volo United Airlines, mentre il resto della squadra femminile e del team tecnico ha viaggiato in economy con la compagnia Delta. La ragione è semplice: come indicato dalle fonti ufficiali dell’USOC, ad ogni atleta, allenatore e ufficiale è fornito un biglietto economy per raggiungere la sede dei Giochi, ma ciascuno può ottenere un posto in business class a proprie spese (o a spese del proprio sponsor, ciò che, con tutta probabilità, è accaduto a Biles, ormai dal 2021 ambassador di United Airlines). Regole rigide valgono per gli stessi sponsor, i quali devono prestare grande attenzione al fatto che qualsiasi contenuto multimediale ritraente gli atleti con i quali sono stati conclusi accordi di sponsorizzazione non includa né le divise ufficiali di TEAM USA né qualsiasi dicitura o simbolo olimpico.

 

Nell’era della digitalizzazione, l’USOC ha indirizzato la propria attenzione non soltanto verso i diritti di privativa registrati e verso i segni utilizzati sul mercato, ma anche nei confronti di termini scelti come hashtag, inviando lettere di diffida anche a soggetti che utilizzavano, a titolo di esempio, il termine “Olympic” nella propria attività quotidiana da decenni. Proprio in tale contesto, la società Zeroez ha depositato un’azione legale il giorno precedente l’inizio dei Giochi Olimpici di Rio 2016, con lo scopo di accertare i diritti in relazione alla possibilità di creare contenuti per i social media in cui includere l’hashtag #TeamUSA da parte di enti non sponsor ufficiali USOC. Sebbene la richiesta di archiviazione sia stata accolta da parte di una Corte del Minnesota, soprattutto in ragione del fatto che pareva non esservi materia del contendere fra attore e convenuto – dato che non si erano registrati scambi di comunicazioni fra USOC e Zeroez – alcune decisioni di Corti in California e Massachusetts hanno, però, affermato che l’uso di marchi di titolarità di un concorrente costituisce violazione del marchio stesso nel caso in cui il pubblico sia condotto ad una falsa associazione fra i due soggetti utilizzatori. Tuttavia, le Corti devono ancora pronunciarsi in tal senso nel contesto specifico di tutela delle Proprietà Olimpiche.

 

La disamina effettuata si pone come obiettivo quello di fornire alcuni spunti di riflessione rispetto allo stretto legame che si realizza fra sport, intrattenimento e diritto industriale, dimostrando come vi siano una miriade di sfaccettature rilevanti per una mente attenta e appassionata al tema. La quantità delle dispute, poi, è talmente rilevante che il Tribunale Arbitrale Sportivo di Losanna ha aperto uffici temporanei nella capitale francese. In ogni caso, con un occhio alle sfide e un altro alle ripercussioni legali, è ora il momento che i riflettori si concentrino sui Giochi.